È tempo di ripartire, in sicurezza!
Torniamo sulla questione del tempo, grande variabile del mondo della moda e oggi, più che mai, elemento determinante anche per l’uomo.
Se qualche mese fa, all’inizio del lockdown, abbiamo parlato tutti di recuperare il tempo, nella vita come nella moda, cercando di imporre ai vari settori i ritmi delle persone e non più viceversa. Oggi vorremmo tornare con il piede premuto sull’acceleratore per lasciarci alle spalle questa situazione e salire verso una rapida ripresa. È straordinario quanto il tempo ci determini, nelle scelte, nella vita, nella nostra esistenza. Una delle contraddizioni della moda è proprio la questione temporale e più cerchiamo di recuperarlo, più diventa una contraddizione anche per noi.
Nelle lunghe settimane di “quarantena” la moda ha fatto notevolmente parlare di sé: talvolta con lettere aperte al sistema e alle persone, altre volte con video e interviste. Ancora, in modo convinto, utilizzando il potente veicolo della rete e le nuove tecnologie a supporto, per sostenere approfondimenti e vere e proprie rivoluzioni di settore. La moda ha saputo, abilmente, scomparire dai riflettori per far parlare ancora di più di sé. Del resto, è una delle ultime forme espressive che ci sono concesse e probabilmente “l’unica” di una portata tale (soprattutto a livello economico, purtroppo o per fortuna) da possedere ancora una voce così rilevante. Ci appare oggi che questo settore abbia rallentato e si sia finalmente piegato, in qualche modo, alle nuove esigenze sociali.
Dal punto di vista prettamente comunicativo, l’affascinante e contrastante anima della moda, ha saputo essere al centro dell’attenzione, delle pubblicità, dei social, del mondo pur facendo dei passi indietro. Non è forse questo, il principio che ci viene insegnato in pubblicità? “Non importa come se ne parla, l’importante è che se ne parli”. Tutto il mondo della moda, dagli esperti ai simpatizzanti, dagli appassionati agli influencer, stanno cercando di teorizzare nuove pratiche per la ripartenza e quel momento in cui il mondo tornerà a muoversi imitando, nel possibile, il “com’era prima”. Cerchiamo tutti una data che possa darci sicurezza, nella convinzione di possedere ancora la libertà. Quella stessa sensazione che non ci faceva pensare, che ci faceva agire con leggerezza, talvolta con superficialità e a cui tutti noi attribuivamo, la bellezza dell’esistenza. Questa esperienza che ci vede tutti coinvolti, ci spinge oggi ad essere concordi sulla necessità di ripartire.
La questione però solleva leve più profonde, come la responsabilità personale, che oggi più che mai è anche responsabilità sociale. Nessuna imposizione, regola o restrizione potrà mai fermare una persona che esce di casa con qualche linea di febbre, probabilmente raffreddata. Seppur con guanti e mascherina. Così come nessuna norma, legge o certificazione potrà fermare un brand non curante della persona. Il mercato, se il profitto sarà ampio, troverà sempre un modo di sovvertire la regola e ciò che accadeva nella moda, come nel mondo, prima di questo grande “stop”, ne erano l’esempio. La sicurezza di protezione dobbiamo cercarla in noi, sia che siamo industriali, sia che siamo consumatori, poiché sono le nostre azioni a rendere il mondo, la vita e la moda un posto libero e sicuro.
Sono concorde a tutti coloro che incitano, io per prima, i brand di moda a raccogliere i cocci di questo periodo preparandosi a ciò che verrà con la riscoperta dei valori, di nuovi obiettivi, di concreta umanità e trasparenza. Sono di qualche giorno fa le parole di Camilla Mendini, in arte Carotilla, fashion designer e fashion influencer molto seguita in questo momento, che testimoniano il sentire comune su questi valori nella moda e in uno stile di vita sostenibile. Non mancano i consigli, uno tra tutti, Francesca Romana Rinaldi, Professor in Strategy and Fashion Management, che promuove un sistema circolare della moda a cui tutte le imprese dovranno allinearsi entro il 2030 per sopravvivere ed essere competitive nel mercato. Interessante il modello comunicativo di Matteo Ward, co-founder del marchio WRAD, un esempio nella moda etica e sostenibile, che spinge i brand a considerare nuovi obiettivi e nuove leve nella comunicazione di moda della ripartenza. Non ultima, Marina Spadafora, coordinatrice di Fashion Revolution Italia, nel webinar dedicato alla moda durante la Fashion Revolution Week, ha chiaramente espresso quali caratteristiche deve avere un brand per operare nel rispetto della moda, delle persone e del pianeta. Con il suo team ha perfino creato una mappa, disponibile nel sito di Fashion Revolution, contente i brand che rispondono a criteri etici e sostenibili verificati, in modo da fornire risposte all’utente nella rete che desidera agire secondo motivazioni d’acquisto condivise. Renzo Rosso, founder di Diesel, fa parlare di sé nella rete, soprattutto in queste ultime settimane, grazie alla sua presa di posizione nei confronti del governo e a favore delle persone e delle imprese. Ancora, esperti, studiosi e personaggi di spicco nel mondo della moda raccontano la loro visione basandosi su più paradigmi e sulla risultanza del sentire comune.
Le aziende e i brand che saranno pronti a ripartire davvero, sono le realtà che hanno avuto una velocità di risposta sociale tale da permettersi di adeguarsi al cambiamento. Un po’ come diceva, Charles Darwin: “Non è la specie più forte o la più intelligente a sopravvivere, ma quella che si adatta meglio al cambiamento.” Nella moda il cambiamento prevedrà una visione etica e la ripresa della qualità, intesa come sostenibilità per l’ambiente e le persone. Nella comunicazione di moda, “l’adattamento all’ambiente”, si traduce nella capacità di esserci e di dimostrarlo in modo efficace. Il marchio che più ci è stato vicino nel momento difficile, sarà la marca più ricercata. Un po’ come gli amici: “si vedono i veri amici nel momento del bisogno”. Ovviamente sarà responsabilità personale del brand essere coerente con quanto dimostrato. Non saranno più accettate le promesse ma cercheremo tutti la reale corrispondenza tra parole e fatti, poiché la verifica arriverà prima da noi.
È difficile tradurre la presenza di una marca quando mancano i rapporti interpersonali. Soprattutto quando un brand deve dimostrare una qualità di prodotto o una validità di processo superiore, per giustificare un prezzo maggiore. Lo sforzo del consumatore a far fronte alla spesa, nel settore dell’etico e del sostenibile, veniva prima compensato dalla promessa d’impegno sociale e ambientale del brand e dal “toccare con mano” la qualità del capo. Oggi queste leve vengono a mancare e la comunicazione corre incontro a tali mancanze.
Usare un logotipo o un simbolo che meglio rappresenta la filosofia aziendale, significa comunicare in modo efficace. Usare il giusto tono di voce e puntare su strategie trasversali nella rete. Essere presenti con programmazioni coerenti e costanti. Puntare su advertising che mettano in luce i plus del prodotto, cercando di accorciare la distanza imposta dai mezzi e dal tempo. Tutto questo significa mettere le giuste basi alla ripartenza. La cura dell’estetica non è secondaria, soprattutto quando dobbiamo trovare nuove strategie per rappresentare i vantaggi di un prodotto corretto, etico e sostenibile.
Non facciamo come chi parla di moda dicendo che lui non la segue o che non è necessaria, però cerca la fidanzata\o bello.
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Un saluto a tutti e alla prossima pillola fashion.
Francesca Bonotto per ModaPuntoCom