Ritorna a grande richiesta un articolo dedicato al tema, “Il Diario di una #fashionprof”. Uno spazio dove conoscere i risvolti etici e sostenibili di una professione legata al mondo della comunicazione. In queste righe parleremo di comunicazione di moda. Non a caso, da quest’anno seguo il corso opzionale per IUSVE, l’Istituto Universitario Salesiano di Venezia e Verona, dal titolo “Storia della comunicazione di moda”. Un corso che, con mio immenso piacere, ha suscitato molto interesse tra gli studenti. In questo percorso siamo andati a scomporre il cammino evolutivo e creativo della comunicazione di moda, dall’800 fino ad oggi. Abbiamo scoperto che la comunicazione è il perno essenziale per la comprensione della storia e della società. Abbiamo ricercato ed elaborato un nostro pensiero riguardo la comunicazione, partendo da una base culturale e di consapevolezza. Questo percorso ancora work in progress ci porterà a conoscere e decifrare con cognizione di causa le scelte e i cambiamenti attuali.
Volete scoprire (in breve) di cosa parliamo?
La moda si comunica
Partiamo dall’800, epoca di grandi cambiamenti storici, dove la moda si comunica. Indossare un abito su misura piuttosto che in taglia, scegliere il colore rosa o il nero racconta già tanto. Tra le prime insegne dei negozi e le comunicazioni incalzanti dei Grandi Magazzini la differenza è nota. Con lo stile dell’abito femminile il corpo è ancora una volta plasmato dalla forma. Una forma che serve per comunicare il ceto sociale. L’uomo si rifugia nello stile Dandy che lo accompagnerà per molto, compiendo un atto di comunicazione: scegliere la moda per creare la sua immagine. Sono gli anni delle rivoluzioni nei metodi di produzione e distribuzione, sono gli anni delle grandi invenzioni che rendono più “comoda” la vita. Il dress code di questo periodo non è altro che lo strumento principe della comunicazione di moda. Attenti però, il marchio si fa strada tra couturier orgogliosi e negozi che iniziano ad esporsi. Non c’è progettazione all’inizio ma la semplice voglia di comunicarsi con fierezza. Nascono i primi cartoncini apposti alle merci, per identificare un artigiano da un’industria.
Comunicare la moda
Compiamo un salto verso il Novecento, secolo di meraviglie e tragedie. Periodo che più di tutti ha decretato lo sviluppo della moda e della comunicazione di moda. Quante cose sono successe! Basta pensare i primi anni del 1900 con gli “ismi” nell’arte che creano e comunicano la moda. Seguono poi, la nascita di grandi stilisti e l’affermarsi delle donne. Rosa Genoni e Chanel che liberano la figura femminile e Madelenne Vionnet che impone il copyright. La Schiap (Schiaparelli) che porta l’arte a confrontarsi faccia a faccia con la moda. Tra gadget ed etichette, sfilate ed eventi, la comunicazione raggiunge ben presto le basi della moderna tecnica. Sarà Christian Dior ad insegnare a comunicare in grande stile. Amava confrontarsi con la stampa ed ebbe una grande intuizione: creare un team di lavoro per comunicare.
Tra stilisti più introversi e grandi cambiamenti sociali, la moda trova il modo di comunicarsi grazie ai media, soprattutto durante le due guerre mondiali. Le ristrettezze economiche e i razionamenti, non fermeranno la libertà di fare arte e le arti continueranno a comunicare.
Non dimentichiamoci lo sport e le influencer della storia. Sportive professioniste che hanno saputo curare la loro immagine e promuovere nuova comunicazione di settore. La moda inizia timidamente il suo cammino fino ad accelerare il passo e culminare a metà del secolo con le più grandi rivoluzioni.
La moda è comunicazione
Nascono i giovani che determinano una nuova moda, fatta di comunicazione pura, efficace e assolutamente diretta. Sono gli anni Sessanta e niente sarà più comunicato come prima. In questo tempo, si pongono le basi per comportamenti forse scorretti nell’ambito dell’etica e della sostenibilità di settore, ma ciò che importa è comunicare. Comunicare la voglia di esserci, di creare cambiamento e di essere liberi. Le controculture, dai Mods, gli Hippie, fino allo Streetwear, sovvertiranno le regole della comunicazione insegnandoci che la moda è ovunque. Il logo pop di Mary Quant, la Space Age in stile Bauhaus e le grafiche di Milton Glaser, fanno presagire una nuova comunicazione. Forte, convinta, a tratti esasperata, carica di colori, visual ed elementi simbolici. Il prodotto di tale processo lo indossiamo ancora oggi. Forse anche tu, in questo momento, hai ancora addosso la t-shirt, i jeans o le ballerine? Ahn, indossi il chiodo in pelle alla Marlon Brando!
Ci sono capi di abbigliamento che sono diventati oggetti di culto proprio grazie alla comunicazione. Lo ha sviluppato bene Elio Fiorucci con il suo Happening che continuerà il mood di questo periodo fino alla fine del secolo. Non si chiama forse marketing dell’esperienza?
La comunicazione dell’eccesso
Arrivano di corsa gli anni Settanta con la questione dell’inclusione culturale. Yves Saint Laurent e la comunicazione di Vogue promuoveranno, ancora una volta, il cambiamento. Dal modo di leggere una testata alla costruzione di un editoriale. Inoltre, questo stilista porterà in passerella il colore, le influenze underground e i racconti di altri mondi, facendo emergere nella comunicazione di moda, il problema dell’appropriazione culturale. Gli anni Settanta ancora in cammino introducono a passi di aerobica e wellness gli anni Ottanta. Gli anni del Power Dressing, della concorrenza pubblicitaria, degli spot provocatori, della sensualità disinibita del corpo. Gli anni delle grandi icone della comunicazione di moda, Lady Diana, Madonna, la Carrà e … l’epoca dei presentatori tv. Ancora, le muse, le top model di Versace, testimonial di una vita sotto i riflettori. Non è più l’abito che rende celebre la modella, ma la modella renderà celebre l’abito. La comunicazione di moda diventa sempre più progetto, strategia e azione di branding. Gli anni Ottanta sono gli anni della marca: logomania!
Ma Vivienne non è d’accordo e dopo aver portato il Punk in passerella, inizia la sua campagna sociale verso l’ambiente. Nasce forse in questi anni il tanto chiacchierato Brand Activism?
La fine della comunicazione?
Molti studiosi di settore definiscono gli anni Novanta come un periodo di comunicazione di moda molto più pragmatico. Tanta era la tensione per la fine di un secolo. Il brutto che diventa il nuovo bello, il radicamento di convinzioni sociali forti, il temporeggiare dell’arte, lo stigma per alcuni canoni di bellezza. Tutto ciò a caratterizzare un decennio di passaggio. Una transizione verso un nuovo secolo, dove la moda è fatta (almeno fino al 2015) esclusivamente di comunicazione. Il format pubblicitario della moda si riduce alla pagina pubblicitaria, con messaggi per lo più referenziali. La notorietà del fotografo, l’importanza della modella e la grandezza della marca bastano alla moda. La creatività per un po’ sembra andare in vacanza. Si lavora molto di più con la strategia, con la creazione d’immaginari solidi e riconoscibili. I messaggi diventano volutamente di libera interpretazione poiché si spogliano degli elementi testuali. Si lavora sull’esperienza e Sex and The City ci fa sognare il nuovo secolo… . Un fotografo avrà l’irriverenza giusta per andare contro corrente: Oliviero Toscani. Il team Toscani e Benetton a suon di colpi di scena, usa la moda per comunicare problemi sociali, tabù, questioni politiche e molto altro. Dimostrando a questo settore che la moda può tornare a dire molto di più di un semplice sorriso e un bel marchio.
C’è da chiedersi a questo punto della storia della comunicazione di moda se “la comunicazione fa (ancora) il monaco”?
Immagine realizzata da Francesca Bonotto